L’OLTRE DELL’ARTE AL FEMMINILE

La parola eleganza riporta inevitabilmente a significati aulici e profondi, concerne elementi quali la grazia e la ricercatezza, ma anche una fulgida attitudine che scaturisce dai moti dell’animo sgorgando in ineguagliabili ricchezze espressive. È una qualità sublime che riguarda non soltanto la cura dell’aspetto esteriore ma anche quella rarità di stile che emerge nel fare umano delle persone più elette.  La vita di Letizia Lo Monaco è caratterizzata da eleganza e bellezza, non soltanto estetica ma valoriale, elementi che divampano dal suo spirito e si svelano nelle sue melodiose produzioni artistiche che si librano allo sguardo intessute di tematiche interiori, esistenziali, sociali, cariche di voci, di suoni, di memorie capaci di proiettarsi verso il farsi di un radioso divenire. La sua investigazione della condizione umana è sempre una corda tesa: un andare verso ed oltre. Analizza la sfera femminile con una straordinaria sensibilità intuitiva investigando la forma psichica delle donne, il loro percorso, le difficoltà, tracciando, mediante le sue sinuose linee estetiche, l’apertura di un passaggio, una breccia aldilà dei sentieri perduti.

Quante maschere siamo costretti ad indossare nella società, autoimposte od imposte dagli altri, per nascondere il vero volto di noi stessi, le nostre ferite più intime. Il drammaturgo Luigi Pirandello aveva colto il concetto del nascondimento, svelabile soltanto attraverso una filosofia del lontano: «Imparerai a tue spese che lungo il tuo cammino incontrerai ogni giorno milioni di maschere e pochissimi volti». Anche per la teoria della Gestalt la percezione umana si fonda sull’esperienza unica di ogni singolo essere ed è pertanto soggettiva. Il modo in cui ci vedono gli altri è quindi molteplice, in continuo mutamento, basato sulle esperienze personali e coincide con l’interrogativo che pone Pirendello in “Uno, nessuno e centomila”:« L’idea che gli altri vedevano in me uno che non ero io quale mi conoscevo; uno che essi soltanto potevano conoscere guardandomi da fuori con occhi che non erano i miei e che mi davano un aspetto destinato a rendermi sempre estraneo, pur essendo in me, pur essendo il mio per loro (un “mio” dunque che non era per me!); una vita nella quale pur essendo la mia per loro, io non potevo penetrare, quest’idea non mi diede più requie. Come sopportare in me questo estraneo? Questo estraneo che ero io stesso per me? Come non vederlo? Come non conoscerlo? Come restare per sempre condannato a portarmelo con me, in me, alla vista degli altri e fuori intanto dalla mia?».

Letizia Lo Monaco, attraverso la sua acuta analisi, traduce queste sollecitazioni vivificandole in pura materia estetica, trasponendoli nel fare del suo gesto.

“Monda”, dalle linee sinuose, rievoca i tratti arcaici delle veneri antiche, il rimando all’archetipo ancestrale, nonché Gea, la Madre Terra, dispensatrice di Vita. Non a caso la donna raffigurata è accovacciata su di un cerchio, incarnazione del mondo che ritroviamo nel concentrico guizzante di energia che si dipana alle sue spalle quale emanazione dell’anima mundi. A quest’opera l’artista collega l’Epifania dell’esistenza, sottendendo il concetto ciclico della vita (vita/morte/vita), fil rouge che rimane intessuto in altri suoi intensi lavori, tra cui il dittico “Atomi autoreferenti in autoreferenziale epifania”. Qui le linee si conformano ad una spirale il cui centro tuttavia è sempre l’essere umano nella sua gettatezza nel mondo; tematiche che hanno un’assonanza con il tema del Daisen heideggeriano.  Per l’artista l’esserci ha come caratteristica il riuscire ad agire vagliando le differenti possibilità dell’esistenza. L’individuo, aldilà della sua gettatezza, può mutare il proprio cammino e, mediante le risorse interiori, compiere scelte virtuose. Gli atomi rossi “fluttuanti dispersi” personificano le esistenze dissipate nel vortice della vita.

“The Overcoming” si inserisce in questo filone investigativo connesso alle dinamiche esistenziali ed indica il superamento, o meglio, la vittoria.  La prima immagine che sovviene allo sguardo è quella del simbolo femminile, cerchio di cui non si intravedono l’inizio e la fine bensì la sua consequenzialità: un ricongiungimento continuo per ricominciare ogni volta. È la rappresentazione temporale della natura con lo svelarsi ed il susseguirsi delle stagioni nella similitudine del farsi dell’umanità.  Raffigura la terra o il ventre materno (è quindi fertilità), da cui scaturisce il sospiro vitale e rimanda ai mutamenti biologici degli esseri, alla fusione e all’interconnessione.  È il caos primordiale e contemporaneamente l’evoluzione verso l’ordine; è un universo aperto carico di significazione. Opera maestosa in cui vi ritroviamo sintetizzata la sinuosità delle forme di Afrodite che si guarda nello specchio e ricorre altresì il pensiero pirandelliano tanto caro all’artista: «Infrontar gli occhi per caso nello specchio con qualcuno che stava a guardarmi nello specchio stesso. Io nello specchio non mi vedevo ed ero veduto; così l’altro, non si vedeva, ma vedeva il mio viso e si vedeva guardato da me». Il guardarsi e l’essere contemporaneamente guardati racchiude il mistero del rispecchiamento già noto a Socrate, quando suggerisce ad Alcibiade che osservando qualcuno negli occhi si scorge il proprio volto nella pupilla dell’altro. La pupilla funge pertanto da specchio: è nell’altro da me che riconosco me stesso. Del resto, come insegna anche il mito di Narciso, le superfici riflettenti hanno una duplice funzione: l’illusoria apparenza o lo svelare del vero. Questa “raffigurazione ermeneutica”, tracciata con così abile segno da Letizia Lo Monaco, rievoca altresì il motto delfico “Conosci te stesso” ed innumerevoli figure mitiche o archetipi femminili come Estia, dea del focolare, il cui simbolo del tondo si rifà proprio agli antichi focolari. Rimanda infine all’Ensō, parola giapponese, che significa cerchio e che in questa tela simboleggia l’illuminazione, la crescita spirituale, il superamento degli ostacoli. Nella pittura Zen il modo in cui viene tracciato questo cerchio rileva l’anima dell’artista: la sua integrità oppure le sue lacerazioni e pertanto soltanto l’essere umano integro e spiritualmente puro può delinearlo nella sua completezza. In questo caso il cerchio rosso è accesso, vivido, gravido di emozioni e nelle sue frastagliature presenta la trama del vissuto proteso come un arco verso il divenire.  Connesse alla frammentarietà del sé si possono inscrivere opere come “What Is She?”, “Samur-I” e “Face-Off”. L’indagine che compie sulla donna potrebbe essere definita sociologica-culturale. Il suo sguardo attento coglie innumerevoli sfumature dell’umano e delle variabili del contesto in cui è situato a vivere. “What Is She?” pone un profondo interrogativo che si dipana tra le parti scomposte della figura, che solo apparentemente celano reminiscenze picassiane. La domanda esistenziale affiora con impeto allo sguardo del riguardante e pungola con insistenza “Che cosa è lei?”. Una donna certamente, ma disgiunta, disaggregata, ferita. Come sottolinea la stessa artista: «Si tratta di una denuncia sociale, al femminile, in quanto ontologicamente la donna è sempre violata, divisa in due, separata tra l’essere e il dover essere». Se si pensa alla società contemporanea, alle conquiste “di genere” o al raggiungimento di una posizione privilegiata, per l’universo femminile i traguardi risultano spesso costellati da lacerazioni, rinunce e tormenti.  Le divinità antiche incarnano i numerosi aspetti del femmineo, le loro qualità e capacità; non a caso nel disegno compaiono i tratti delle veneri arcaiche che si compenetrano con la contemporaneità in un continuum di rimandi che si ripropongono nella storia dell’umanità, nelle differenze e identità di popoli e culture. L’occhio della figura è appena abbozzato, intriso di melanconia, le labbra sono grandi, rosse, i seni e le curve prominenti: disgregazione e sofferenza che sottendono il divario tra il vero volto dell’interiorità celato dietro le maschere imposte.

In “Samur-I” si assiste ad un’interessante scomposizione bidimensionale di matrice cubista, in cui affiora l’emozione sensibile, esperienziale, percettiva ed emotiva nei confronti della Vita.  Compare sin dalla denominazione dell’opera l’incompletezza della parola, e risuona la “I” inglese, che definisce Io; un Io che, seppur frammentato, è alla ricerca dell’integrità come un indomito guerriero che lotta per affermare i propri ideali e valori. Sul viso sono impressi piaghe e sofferenza, gli occhi appena accennati paiono socchiusi in una smorfia di dolore, ma nonostante questa condizione la donna combatte ancora per la propria autoaffermazione.

“Face-Off”, che etimologicamente indica lo scontro, il conflitto ed il confronto, è un lavoro di efficace sintesi. Il volto femminile ritratto è diviso in due distinte metà, simbolo di dissociazione, il ritratto di un’anima ferita che non è ancora riuscita ad affermare il proprio sé; una sublime sintesi delineata con tratto privo di esitazioni. L’artista comunica con una lucida prossimità istintiva.  Clarissa Pinkola Estés nel saggio “Donne che corrono con i Lupi” fornisce coinvolgenti suggestioni: «Riparare l’istinto ferito, bandire l’ingenuità, apprendere gli aspetti più profondi della psiche e dell’anima, trattenere quel che abbiamo appreso, non volgerci altrove, proclamare a gran voce che cosa vogliamo… tutto ciò richiede una resistenza sconfinata e mistica […]Dobbiamo enunciare con voce chiara la nostra verità ed essere capaci di fare quanto è necessario nei confronti di ciò che vediamo [… ] Quando la vita dell’anima è minacciata non soltanto è accettabile tirare una riga, è indispensabile […] Siamo influenzati da molte collettività[…]di qualunque tipo siano[…]sviliscono e scoraggiano gli sforzi non conformi alle loro preferenze[…]La nostra sfida, nell’interessa dell’anima selvaggia e dello spirito creativo, è di non amalgamarci in nessuna collettività, è di distinguerci da coloro che ci circondano, gettando eventualmente dei ponti dietro di noi, e decidendo se farli robusti o abbozzarli soltanto. Di qualunque collettività faccia parte, la donna non deve adeguarsi ma arricchirla dalla sua speciale fragranza. La separazione della sua vita e della sua mente dal pensiero collettivo appiattito e lo sviluppo dei suoi talenti originali sono tra le imprese più importanti che una donna possa progettare e compiere».

Letizia Lo Monaco, attraverso la sua arte, parla direttamente alle donne e all’umanità con voce sublime che diviene incisiva pittura capace di destare gli animi assorti esortandoli al risveglio interiore.